del terzo millennio, avidi scaricatori.
Un uomo ha deciso di condividere 700 "cose" con altre persone, senza voler nulla in cambio, senza far pagare niente e per questo, perché non ha riconosciuto patrimonialmente la parternità di queste
opere dell'ingegno, è stato fermato dalla Polizia Postale. Dicono che ci rimette il mercato, che gli artisti non ricevono più il denaro di una volta a causa di internet, i cineasti finiscono sul lastrico e non possono più permettersi Rolex, caviale e champagne. Ebbene, non è questo il punto, non penseranno mica che me la beva, è sostanzialmente la millenaria lotta tra
open e
private.
Lo
sharing dei files, la libera circolazione ed il libero scambio mettono in pericolo le grandi aziende che fatturano miliardi ogni anno solo per il fatto di "proteggere" - perché questi beceri individui giuridici non sono altro che protettori legali, ma sempre protettori restano - opere dell'ingegno.
Se io artista produco un LP e lo proteggo con una licenza libera (ad esempio una licenza
CreativeCommons) non ricaverò più quelle due lire dalla SIAE - ma le causerò non pochi problemi -, renderò esponenziale la diffusione del mio prodotto, involontariamente innescherò della pubblicità propositiva ed avrò un ritorno sulla mia immagine grazie alla visibilità che potrò creare liberamente su internet. Questo perché con quel
tipo di licenza un qualunque utente potrà riprodurre, distribuire, comunicare, esporre, rappresentare, eseguire, recitare, modificare, usare per fini commerciali a patto che ne venga riconosciuta la paternità nei modi indicati dall'autore o da chi ne ha dato l'opera in licenza. Ovviamente il ritorno di utile dovrà provenire principalmente da collaborazioni, concerti e sottoscrizioni; i miei pronipoti dovranno "farsi il culo" poiché non guadagneranno nulla dal mio operato (la cosa mi sembra ragionevole e condivisibile), ma allo stesso tempo la mia opera potrà essere accessibile anche a chi vive la giornata, a chi è costretto a spendere tutto quello che ha per i beni di prima necessità. Perché la libertà è anche questa, accessibilità alla conoscenza, alla cultura, ad ogni tipo di espressione umana ed esistenziale.
Usando le parole della comunità di Ippolita:
«Gli hackers fanno molto e dicono poco. Ma, nell'era della tecnocultura, hanno molto da insegnarci: la passione per la tecnologia, la curiosità che li spinge a metterci sopra le mani, a smontare per comprendere, a giocare con le macchine, a condividere i codici che creano. Essere pirati informatici significa essere pirati della realtà. Essere protagonisti attivi, agire e non subire il cambiamento; usare la tecnologia per soddisfare i propri bisogni e i propri desideri; porsi in un continuo dialogo con il flusso di informazioni delle reti, informatiche e umane. L'etica hacker, le pratiche di condivisione e cooperazione interessano ora anche il mercato, che ha assunto il metodo di sviluppo delle comunità hacker per risollevarsi dopo la bolla speculativa della net economy. I termini cambiano poco, da software libero (free software) a software aperto (open source), ma in realtà cambia tutto. Il passaggio è doloroso: la curiosità per il nuovo diventa formazione permanente, la fluidità delle reti diventa flessibilità totale, la necessità di connessione per comunicare diventa lavoro 24 ore su 24: semplici ed efficaci slogan del mercato globale. La cultura hacker cerca allora di elaborare nuove vie di fuga, insistendo sulla forza delle comunità e sulla responsabilità delle scelte individuali»
fonte: http://ippolita.net/?editoria/1
Questa era la presentazione di un libro in copyleft - e quindi direttamente scaricabile dal loro sito - "Open non è free" della comunità scrivente "Ippolita", manifesto degli hackers oltre che manifesto di riscatto dalla cattiva luce, messa di proposito, proveniente dai media di regime.
Lo stesso discorso poi equivale per quei prodotti della mente umana utili allo sviluppo degll'individuo i quali, pregiudicando l'esistenza degli individuo stesso, non possono essere blindati da brevetti o limitazioni d'interesse. Un testo, questa volta della comunità LASER, è "Il sapere liberato" edito da Feltrinelli il quale descrive la situazione attuale e nuove soluzioni per far fronte all'avidità delle
lobbies.
Bibliografia essenziale> "Open non è free", Ippolita, edizioni Elèuthera, 2006
> "Il sapere liberato", LASER, edizioni Feltrinelli, 2005